L’Italia è stato uno dei primi Paesi a mettere in atto una strategia di vaccinazione contro il Papilloma Virus Umano (Hpv), superato poi negli anni da Paesi come Inghilterra e Australia dove la copertura del territorio è molto più alta, soprattutto perché la vaccinazione viene eseguita a scuola. I risultati della campagna vaccinale sulla popolazione australiana, pubblicati di recente sul British Medical Journal (Bmj), hanno dimostrato l’efficacia di questo vaccino nel prevenire il virus e i condilomi che spesso si manifestano nella popolazione più giovane. E con molta probabilità anche il tumore alla cervice. «La cosa curiosa è che l’Australia è il primo Paese ad aver adottato un sistema così determinato e capillare di prevenzione, perché la moglie del Primo Ministro ha avuto un tumore al collo dell’utero, e, come spesso accade quando si vivono problemi simili in prima persona, si è imposta su tutto il governo perché venisse attuata una campagna a tappeto» commenta Mario Sideri, direttore dell’unità di ginecologia preventiva dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo).
In Australia dal 2007 è in atto un programma di vaccinazione che prevede tre richiami gratuiti per le studentesse tra i 12 e 13 anni. In più il vaccino quadrivalente, in grado di coprire i ceppi 6-11 responsabili dei condilomi e i 16-18 responsabili del tumore, tra il 2007 e 2009 è stato fornito anche a tutte le scolare tra i 13 e 18 anni e le donne tra i 18 e 26 anni. E ora si raccolgono i primi risultati di quest’ampia campagna, che solo nel 2010, aveva raggiunto in media l’80% della popolazione tra i 12 e 13 anni, con percentuali decrescenti man mano che si sale con l’età.
Cinque anni dopo, grazie a una stretta rete di sorveglianza che ha permesso di monitorare l’effetto del vaccino sui nuovi casi di verruche genitali rilevate dal sistema sanitario australiano, i ricercatori hanno affermato che «la comparsa dei condilomi tra le ragazze sotto i 21 anni è diminuita del 92% e una riduzione del 72% si è registrata anche nella popolazione tra i 21 e i 30 anni. Un aspetto interessante è che anche tra i maschi non vaccinati, eterosessuali, sotto i 21 anni, si è registrato un calo dell’81,8% e tra i 21 e i 30 anni del 51,1 per cento. Mentre non si è registrato nessun calo fra donne e uomini sopra i 30 anni che non erano stati vaccinati».
«I dati raccolti in Australia sono di particolare rilevanza perché dimostrano l’efficacia del vaccino nella vita reale dopo la sua introduzione nel 2007 – spiega a Rbsalute Sideri – un po’ diverso dagli studi clinici controllati, dove la popolazione è selezionata ed è un po’ artificiosa, non rispecchiando esattamente la realtà. Questo è il primo aspetto fondamentale. In secondo luogo c’è da considerare che se il vaccino ha funzionato così bene sui condilomi, è probabile che fra 20-30 anni si vedrà lo stesso importante effetto sulla riduzione del tumore. Perché il meccanismo di prevenzione del tumore alla cervice è uguale a quello del condiloma. Infine, altro dato molto importante, una copertura così alta, come quella registrata in Australia, ha permesso di coprire anche la parte di popolazione che non era stata vaccinata. Quando si agisce contro una malattia infettiva e si arriva a coprire l’80% della popolazione, il germe muore e scompare da solo, perché si trova in quantità talmente ridotte, che non riesce più a infettare le persone non vaccinate. È la cosiddetta “Immunità di gregge”».
In Italia invece la copertura è ancora bassa, intorno al 60 per cento. Lo stato fornisce il vaccino gratuitamente a tutte le ragazze sotto i 12 anni che su invito, in tutte le regioni italiane, vengono chiamate nei centri vaccinali. Alcune regioni poi, di tasca propria, hanno esteso la vaccinazione anche ad altre coorti d’età, in modo da velocizzare e aumentare la copertura e la riduzione del virus. «Il problema è che c’è molta disinformazione – continua Sideri – e non tutti i genitori fanno vaccinare le loro figlie. Perciò la copertura non arriva a quel 75-80% necessario per eliminare l’Hpv. Quando ricevono la lettera, le mamme chiedono prima ad amici, parenti, pediatri e ginecologi, che spesso sono rimasti a una conoscenza del virus vecchia di venti anni, quando si sono laureati, con dei preconcetti errati, per cui le cause di questa malattia sono da attribuirsi a promiscuità sessuale, costumi libertini ecc. Perciò sono discordi nell’effettuare il vaccino, ma è tutto falso. Il papilloma virus in realtà è già presente nei bambini, in bocca, sotto la lingua o sotto le unghie, e dopo gli 11 anni arriva anche nell’utero. Perché dopo le mestruazioni il corpo cambia, e la struttura del collo dell’utero diventa sensibile al virus. Basta essere sessualmente attive per prenderlo».
Sicuramente se la vaccinazione si eseguisse a scuola la copertura sarebbe più alta. Ma nel nostro Paese non è possibile, perché all’interno degli edifici scolastici mancano le strutture adeguate. «il medico scolastico non c’è più – commenta Sideri –e non può nemmeno venire il medico dal centro vaccinale a scuola per eseguire il vaccino. Ma basterebbe anche solo un’unità mobile fuori dalla scuola, forse, per aumentare la copertura».
Il papilloma virus colpisce almeno una volta nella vita il 75% delle donne sessualmente attive, e se è vero che nel 90% dei casi scompare da solo, altrettanto vero è che una variante sia responsabile delle verruche genitali, patologia comunque sgradevole che colpisce i più giovani, e un’altra del tumore al collo dell’utero. «In Italia si verificano ogni anno circa 3500 nuovi casi di carcinoma della cervice uterina e 1500 decessi – scrivono sul portale di epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità . Il carcinoma della cervice uterina è il secondo tipo di tumore femminile più frequente, con circa 500000 nuovi casi l’anno e 250000 decessi nel mondo, ed è il primo tumore riconosciuto dall’Oms come totalmente riconducibile a un’infezione».
Dopo i 30 anni la vaccinazione si esegue ancora, fino circa ai 45, ma perde di utilità perché l’infezione ormai c’è già e con molta probabilità si è cronicizzata. Per cui con l’aumentare dell’età non ha più senso parlare di vaccino ma si ricorre al Pap test, un test diagnostico preventivo, che preleva una parte di tessuto del collo dell’utero e la esamina per verificare la presenza del tumore o meno. «Una pratica comunque non indolore e invasiva che potrebbe essere evitata grazie al vaccino» conclude il direttore dell’unità preventiva di ginecologia. «É la prima volta che abbiamo in mano un vaccino contro il cancro ma non riusciamo a utilizzarlo al meglio e far vaccinare tutti per via della cattiva comunicazione. Ginecologi, pediatri e medici di base dovrebbero essere informati e aggiornati continuamente per cambiare la cultura di questo Paese».
di Cristina Tognaccini
Freelance Science Writer
Ricerca Biomedica e Salute, Milano
Il Dott. Mario Sideri é Responabile dell’ Unità Funzionale di Ginecologia Preventiva all’Istituto Europeo di Oncologia, Milano.
Ha conseguito la specialità in Ostetricia e Ginecologia nel 1982 presso la Clinica Ostetrico-Ginecologica “L. Mangiagalli” dell’Università di Milano. In seguito si è specializzato in Anatomia Patologica e Tecniche di Laboratorio (1986 ) sempre presso l’Università di Milano.
E’ membro dell’American Society of Colposcopy and Cervical Pathology, dell’International Society for the Study of Vulvar Diseases (ne è stato Presidente per il biennio 1997-99), membro del consiglio direttivo della SIIV e consulente del comitato sulla patologia vulvare della società americana di colposcopia e patologia cervicale. E’ consulente per il secondo livello dello screening cervicale – Regione Emilia Romagna.