Spesso le persone comuni non realizzano quanto lavoro di ricerca scientifica, investimenti, produzione, vi sia dentro la quotidiana pillola per la pressione o l’antibiotico per il bambino. D’altra parte, dobbiamo riconoscere che, pur avendo un passato di tutto rispetto in questo campo, l’Italia sembra aver rinunciato da tempo a svolgere un ruolo di primo piano nella ricerca biomedica: da qui la sofferenza di chi si ostina a lavorare ancora nel proprio Paese, la sofferenza di chi si trova costretto ad emigrare, la fatica della difesa di ciò che resta del patrimonio nazionale, il ruolo di secondo piano giocato dalle nostre aziende di ricerca biomedica, in un quadro complessivo di stanchezza ed incertezza.
Eppure tutti noi attribuiamo alla salute un’importanza fondamentale nella nostra vita, e se bene informati, non facciamo fatica a riconoscere la necessità di un continuo sviluppo della ricerca scientifica e biomedica, di un efficiente sistema di cure e di prevenzione, di una diffusa cultura della salute che permetta ad ogni cittadino di partecipare attivamente al proprio mantenersi sano.
Il nostro sistema di cure, pur tra i migliori del mondo, sembra comunque ancora privo di sufficiente iniziativa organizzativa e politica (vedi l’annoso problema dei piccoli ospedali da chiudere o da riconvertire), e soffre di eccessive ingerenze della politica oppure dell’avidità di certi imprenditori privati.
L’eterno dibattito fra indirizzo centrale e federalismo sembra far crescere continuamente ed esponenzialmente la confusione organizzativa del sistema sanitario, tra tagli al personale e razionalizzazioni. Laddove però si sviluppano “isole di efficienza” si arriva a far lavorare insieme centinaia di professionisti (vedi la molto positiva esperienza del Nord Italian Transplant) e si genera una corretta attrazione di pazienti da altre aree geografiche.
Le strutture pubbliche non sembrano aver mai diminuito la loro presa “politica” sulle carriere e sulle soluzioni organizzative. Il merito è costantemente minacciato dalla mancanza di appartenenza ad un partito o ad uno schieramento politico.
Le strutture private mostrano troppo spesso la preoccupazione per la cura dei loro bilanci più che per la cura dei pazienti, selezionando costantemente le patologie più remunerative, inventando artifici procedurali per avere un maggior guadagno, facendo leva sulla “fame di denaro” di una certa quota di medici, spesso professionalmente mediocri. Fenomeno non solo italiano: la vicenda del cardiologo americano radiato dall’ordine per aver impiantato fino a 30 stents in un giorno per aumentare il proprio fatturato, ha generato grande indignazione negli Stati Uniti e ha portato ad un controllo accurato da cui è emersa l’appropriatezza dell’angioplastica nel solo 50% delle procedure eseguite da 1091 ospedali.
D’altra parte aumenta la consapevolezza del problema di una diversa quota di medici e nascono iniziative, anche imprenditoriali, volte alla ricerca di una medicina efficace ma “low cost”.
Siamo tutti costantemente esposti a messaggi sensazionalistici, a volte contraddittori, frammentati e quasi sempre sponsorizzati. La scelta stessa degli argomenti da parte delle pubblicazioni di medicina divulgativa, viene spesso basata sulla committenza pubblicitaria, senza una coerente strategia culturale: nessuna scelta sulla base di criteri oggettivi per la selezione dei personaggi da intervistare, nessunasistematizzazione degli argomenti
Per questo crediamo sia il momento di promuovere un diverso modo di fare informazione sulla salute, partendo da quel che succede nel mondo della ricerca biomedica (sconosciuto alla maggior parte del pubblico) e che si traduce nel miglioramento delle terapie disponibili.
Non c’è progresso in salute senza ricerca biomedica, ma salute e benessere dipendono anche da buona informazione e consapevolezza.