E’ una conquista relativamente recente che l’omosessualità non venga più considerata una patologia ma un comportamento sessuale alternativo, una variante non patologica della sessualità umana la cui l’espressione è un fattore normale e utile alla maturazione individuale.
Lo stesso manuale dei disturbi mentali (DSM) non la considera più una devianza dal 1972, quando è completamente scomparsa come categoria diagnostica, a meno che la persona con orientamento omosessuale sia scontenta della propria condizione o le procuri una profonda sofferenza. Ad oggi, infatti, l’intervento terapeutico non si prefigge mai di trasformare l’orientamento sessuale di una persona (obiettivo altamente discutibile dal punto di vista morale e difficilmente realizzabile) ma di aiutarla ad accettare il più serenamente possibile la sua condizione.
Come per tanti altri aspetti della personalità, anche a proposito del tema dell’orientamento sessuale si è molto dibattuto se sia maggiormente determinante la natura con una predisposizione biologica o la cultura con le influenze ambientali che ne seguono, ma è estremamente riduttivo considerare aspetti così complessi del comportamento e della natura umana esclusivamente attraverso l’anatomia o la genetica. Sembrerebbe più plausibile il coinvolgimento di fattori bio-psico-sociali: l’omosessualità, così come l’eterosessualità, è conseguenza dell’interazione di fattori biologici, genetici, psicologici e culturali.
Purtroppo da molti l’omosessualità viene considerata come una condizione che va contro natura ma in realtà, se consideriamo naturale tutto ciò che è diffuso in natura, l’omosessualità è una delle pratiche più naturali che esistano, soprattutto nelle specie che hanno una complessa vita di gruppo.
Molti etologi hanno studiato il comportamento omosessuale degli animali e se è vero che una quota dei comportamenti animali omosessuali può essere spiegata alla luce di variabili come lo stress o la forzata convivenza (soprattutto in caso di cattività: zoo, allevamenti…) è altrettanto vero che in moltissime specie il sesso viene usato anche come modalità di relazionale sociale. Soprattutto nelle scimmie, i rapporti sessuali tra esemplari dello stesso sesso servono a stabilire gerarchie, rinforzare i legami sociali, comunicare affetto e appartenenza. L’obiettivo di riprodurre la specie non sarebbe quindi l’unico. Ma il dato particolarmente interessante è che i comportamenti omosessuali non costituiscono solo una tendenza erotica, poiché alcune coppie costituiscono legami destinati a durare per la vita. Comportamenti omosessuali sono stati registrati in più di 450 specie diverse, dai bisonti alle balene, dagli elefanti ai koala, dai gorilla ai delfini; anche i leoni spesso hanno rapporti tra loro per assicurarsi lealtà e rafforzare i legami, mentre tra i gabbiani sono due esemplari femmine, dopo la fecondazione da parte di un maschio, a costituire la coppia che si prende cura della prole. Anche i pinguini formano coppie fisse. Emblematico è il caso di 6 pinguini maschi dello zoo di Oslo che hanno reiteratamente rifiutato delle compagne continuando a formare delle coppie stabili tra di loro.
Stabilire con esattezza quali siano le determinanti dell’omosessualità animale è tutt’altro che facile poiché possono giocare un ruolo fondamentale fattori molteplici, come la carenza di uno stimolo adeguato o un imprinting errato: una sorta di difetto nell’informazione a uno stadio precoce che influenza il successivo orientamento sessuale, come avviene nei pulcini che, se vengono inizialmente allevati senza esemplari femmine, formano coppie gay per il resto della loro vita, anche se messi di fronte alla possibilità di scegliere fra i due sessi. Inoltre, non è ancora del tutto chiaro quanto possano influire gli ormoni nel condizionare tale orientamento.
Negli animali molti comportamenti diversi possono essere considerati omosessuali: dai rituali di corteggiamento alla formazione di legami di coppie e famiglie, senza escludere quelli “incidentali” di alcuni maschi che, cercando una femmina, “si buttano nel mucchio” e semplicemente si sbagliano, finendo per trovare un altro maschio.
Alla luce di tutti questi elementi appare quantomeno lecito interrogarsi su cosa possa essere considerato naturale o normale. Nel senso comune tendiamo a considerare normale un comportamento frequente e talvolta la norma che ci guida in tale giudizio può diventare così prescrittiva di usi e costumi da essere investita di una carica affettiva tale per cui chi agisce in modo diverso viene percepito come deviante. La norma statistica incide così nella definizione di sano/malato e normale/anormale, nel senso che il comportamento medio, essendo il più diffuso, finisce con l’acquisire un valore normativo. In questo caso si trattano come costitutive della natura umana – e quindi universali – norme che sono solo storicamente e sociologicamente determinate. Conseguentemente, viene considerato deviante un comportamento che si allontana in modo più o meno pronunciato dai modelli sociali dominanti, con un valore non assoluto ma relativo, poiché varia a seconda del gruppo sociale preso come riferimento e del periodo storico in considerazione. Nella visione sociologica, comportamenti che si allontanano dai modelli sociali medi assumono la caratteristica di devianza e pericolosità nei confronti del sistema sociale. In sessuologia devianza è considerata sinonimo di aberrazione o perversione come nel caso delle parafilie, disturbi sessuali in cui la persona viene eccitata sessualmente da esseri viventi non umani, da oggetti, da bambini prepuberi, da attività sessuali con persone non consenzienti o comunque da procedure che nella nostra cultura vengono considerate come anormali, immorali o dannose per almeno una delle persone coinvolte. La psicoanalisi, invece, legge le deviazioni come sintomatiche di precise nevrosi.
A proposito di psicanalisi, ci sembra interessante cercare di chiarire quale sia il punto di vista di Freud sul tema dell’omosessualità sul quale è tornato più volte nel corso degli anni senza però giungere mai all’elaborazione di una teoria coerente e definitiva sull’omosessualità.
Egli partì dal tentativo di distinguere tra perversioni e inversioni, due forme di deviazione dalla norma che riguardano rispettivamente il modo in cui si ottiene la soddisfazione sessuale (ovvero il tipo di pratica: rapporto orale, anale, masturbazione, feticismo…) e con chi la si ottiene (deviazioni rispetto alla scelta dell’oggetto sessuale, una persona dello stesso sesso, un animale o un individuo prepubere), considerando come normale il solo rapporto eterosessuale e genitale. Nonostante significative aperture, sono molti i pregiudizi a proposito di perversioni e inversioni che vigevano ancora ben saldi a quel tempo (l’opera “Tre saggi sulla teoria sessuale” è del 1905).
Freud riteneva che gli esseri umani fossero intrinsecamente bisessuali, che le pulsioni omosessuali rappresentassero un fenomeno normale e che un certo grado di omosessualità fosse necessario per lo sviluppo di una normale personalità eterosessuale. Non considerava l’omosessualità come un sintomo di malattia ma al contrario era convinto che l’istinto omosessuale fosse un dato biologico naturale e che ciò che avviene in natura non potesse essere condizionato dalla nevrosi: il fatto che alcuni individui esprimessero attivamente le proprie pulsioni omosessuali significava che le vivevano in modo non conflittuale. “L’omosessualità non è certo un vantaggio” scriveva Freud “ma non è qualcosa di cui vergognarsi, non è un vizio né una degradazione, e non può essere classificata come malattia”. Rimane, tuttavia, un importante limite della teoria freudiana: l’omosessualità è pur sempre considerata una situazione anormale, anche se non sociopatica, non equivalente alla norma eterosessuale.
Alcune delle convinzioni scientifiche e culturali freudiane sembrano molto lontane non soltanto dalla visione biologica e sessuologica moderna, ma anche dalle esperienze soggettive degli omosessuali di entrambi i sessi. La psicoanalisi è cambiata contemporaneamente all’evolversi, nei paesi occidentali, dei valori culturali, delle opinioni e delle identità, in base a dinamiche che Freud non avrebbe mai potuto immaginare.
Rifacendosi parzialmente alle teorizzazioni freudiane, gli analisti contemporanei dichiarano che l’omosessualità in sé non scaturisce da fattori conflittuali, considerano i sentimenti e i comportamenti omoerotici come espressioni di una normale sessualità umana e non reputano omosessualità ed eterosessualità come fisse e immutabili: è possibile il cambiamento in entrambe le direzioni per influenza di fattori sia ambientali/sociali che interni/psicologici.