Spesso in ambito psicogiuridico ci troviamo di fronte a pazienti che presentano, più degli altri, un forte senso di ingiustizia, che talvolta li porta a sospettare costantemente delle persone attorno a loro e che può arrivare fino al delirio di persecuzione.
Sono stati spesso bambini che hanno ricevuto continue critiche e svalutazioni, come valvola di sfogo di una famiglia in difficoltà o perché le aspettative nei loro confronti erano troppe e ben lontane dal loro vero modo di essere. Si sono sentiti diversi, non accettati, spesso proprio a causa di quella creatività che li porta a vivere la loro vita adulta come un affascinante, delirante thriller mozzafiato. Dietro ogni gesto, parola, espressione dell’altro può nascondersi una minaccia, una congettura contro di loro, frutto, a seconda della gravità della patologia, di un progetto di un singolo, di molti o addirittura divino.
Freud analizzò il caso particolarmente grave di un famoso paranoico, Schreber, pur non avendolo mai conosciuto direttamente. Sosteneva di essere vittima di aggressioni omosessuali da parte del proprio psichiatra e di essere vittima di un progetto divino destinato però a vederlo dominare il mondo. Freud elaborò l’affascinante teoria che vedeva il paranoico difendersi da un’omosessualità latente inaccettabile; potremmo dire, alla luce delle nuove teorie, da una sensazione di diversità anche più generale. Sosteneva il Maestro della psicoanalisi che nelle personalità paranoidi la sentenza omosessuale inaccettabile: “Io amo lui”, poteva essere negata in ogni sua singola parola. Dalla negazione del predicato derivava un “io non amo lui”, trasformato con maggiore enfasi in “io odio lui”, per tenere il pensiero lontano da sé. Questo pensiero veniva proiettato nell’altro, come tipico di questa patologia, sottoforma di “lui odia me” ed è qui che l’altro diventa inevitabilmente un persecutore. Se si negava il soggetto ne derivava un “non io amo lui” che sta alla base della gelosia patologica, dove “l’altro ama lui” o “l’altro ama lei”, negando l’omosessualità. Altrimenti si poteva negare l’oggetto: “io amo non lui”, ovvero “io amo lei”, che proiettato diventava un delirio erotico, poiché seguiva il pensiero “lei ama me”.
Questa teoria ha mostrato come onnipotenza e fragilità solitamente convivano in queste personalità, che si difendono negando i propri sentimenti di impotenza appresi durante la loro infanzia e proiettandoli nell’altro: non sono io che ormai ho imparato a vedermi solo come un incapace immeritevole di affetto e attenzioni, ma sono gli altri che vogliono questo e fanno il possibile per impedirmi di avere successo nella vita. Il mondo ce l’ha con loro e devono guardarsi costantemente le spalle, senza potersi fidare di nessuno: aggredire per non essere aggredito. Si trovano in un circolo vizioso difficile da interrompere, perché il bisogno di affetto e accettazione che si portano dietro fin dalla loro prima infanzia li porta a non riuscire a tollerare, quindi eventualmente affrontare e risolvere, la presenza dei pensieri svalutanti verso di sé appresi dalle figure di accudimento, quindi a negarli e a proiettarli nell’altro.
Tuttavia questo sistema di difese non permette a nessuno di accedere a loro in modo abbastanza profondo da poter riparare quell’affettività mancata. Il terapeuta deve tollerare con pazienza e a lungo attacchi e difese, mantenendo la maggiore trasparenza possibile, per poter forse un giorno riuscire a conquistare quel minimo di fiducia tale da permettergli di avvicinarsi assieme al paziente a quel che non vuole vedere. A quel punto si porrà nei confronti dei deliri paranoici del paziente come di fronte ad un’opera d’arte contemporanea: cercando di scoprire quale inesprimibile e inaccettabile emozione si cela dietro la rappresentazione esterna.