Tra nevrosi e psicosi

Il confine è quello tra nevrosi e psicosi, ovvero tra la sofferenza di un persona tutto sommato evoluta e quella troppo precoce per aver permesso lo sviluppo di una personalità sufficientemente solida. Il mondo esterno e le persone sono vissute dagli psicotici in un modo tutto personale, l’unico che permette di tollerarne l’esistenza. Mentre la nevrosi, nel corso del suo continuum, potrebbe tutto sommato coinvolgerci tutti, mentre agognamo all’irraggiungibile normalità.

In questa linea continua tra normalità e follia c’è una terra di mezzo, di persone che hanno una struttura, ma troppo vuota per potersi riempire da sola. Allora si riempiono di tutto ciò che trovano, ma le emozioni rimangono il cibo preferito. Amore e odio, bene e male, tutto e il contrario di tutto. Ogni cosa trova spazio dentro di loro e in quantità talvolta disarmanti, ma nettamente separate le une dalle altre. Come il bambino, che non può credere che la madre che lo cura e lo nutre amorevolmente, sia la stessa che lo lascia piangere disperato. Ma se la madre è capace di contenere e limitare questa disperazione con affetto e presenza, pian piano il figlio potrà anche accettare di essere nato in un mondo in cui gli opposti si alternano e convivono tutto sommato in armonia. Porterà dentro si sé l’immagine rassicurante della madre, a cui fare riferimento nei momenti di difficoltà.

Ma se la madre non è capace di rassicurarlo, se i traumi che subisce sono troppo forti per poter essere superati, se non è nato abbastanza forte per poterli affrontare? Come è possibile accettare la compresenza di emozioni così diverse nelle relazioni e non sentire ogni volta di andare in pezzi e di esserne travolto? Le relazioni diverranno un continuo riempimento della voragine affettiva che sentono dentro. L’altro sarà desiderio irrefrenabile e terrore, amore ed odio. Avrà bisogno di continue conferme, per non temere di essere abbandonato e non saranno mai abbastanza, perché l’altro è comunque altro da sé e non completamente assoggettabile. La separazione non potrà essere tollerata, sarà come non esistere più, se è l’altro che ha il ruolo materno di rassicurare la sua disperazione e da solo non ne è capace. Perderlo sarà come morire, come perdere una parte di sé, o qualcosa che dovrebbe essere una parte di sé.

Lo psicoanalista in questi casi si propone nel ruolo di una madre da interiorizzare, presente in modo rassicurante e continuo, in modo da colmare il vuoto che il paziente percepisce dentro di sé. Se il paziente riesce a tollerare inizialmente la giusta distanza e riesce a fare tesoro di questa continua e regolare presenza, sarà in grado di fare riferimento ad una figura buona e cattiva, ma sempre confortante, ogni volta che la vita lo metterà di fronte alle sue prove. Sarà così possibile costruire quella forza interna necessaria a mettere il pensiero tra il desiderio e l’azione, rendere ragionevoli le emozioni, vedere le sfumature del mondo e poterle tollerare.

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